I dipinti di Daniele Perilli sono di matrice
astratta, ma vanno ben oltre la radice Informale.
Essi, infatti, non rinnegano la forma, ne
accolgono la disgregazione, facendosi interpreti
d’inaspettate metamorfosi. La sua pratica
artistica si nutre del tempo, di piccoli
gesti ripetuti con abilità certosina, frutto
di una tecnica rigorosa e segreta che mescola
la tradizione pittorica all’investigazione
alchemica. Impercettibili variazioni luminose
e cromatiche, ottenute con colori acrilici
e oli, danno luogo a un magma di materia,
che amorfo e caotico sembra espandersi sulla
tela.
Una forza centrifuga domina le composizioni,
mai suddivise in piani prospettici.
La colorazione,
che talvolta tende alla monocromia,
rappresenta
l’idea stessa del colore, puro e slegato
da qualsiasi superficie, evocando così
lo
spazio assoluto della pittura.
Le sue strutture sono apparentemente
semplici,
simili a un supporto accartocciato
che tenderebbe
a scomparire se egli non offrisse,
qua e
là, degli appigli. Orizzonti incerti
e figure
indeterminate emergono silenziosi,
frutto
di una tensione intrinseca che spinge
la
forma verso una crescita e una rigenerazione
senza fine. La composizione finale
è dinamica
e vibrante, animata da un’energia sotterranea
e primigenia, responsabile di quel
processo
miracoloso e sorprendente che è il
divenire
della forma. Dal magmatico ammasso
di materia
fuoriescono abbozzi di figure: animali,
unicorni,
pesci, uccelli, conchiglie e uova,
manifestazioni,
queste, della vita stessa, che si perpetua
attraverso infinite forme e processi
metamorfici.
L’esistenza è per Daniele Perilli un
percorso
transitorio, situato tra la nascita
e la
morte. È l’itinerario che tutti, uomini,
materiali e organismi, compiono attraverso
un tempo e uno spazio indefiniti, a
cui sono
solo parzialmente e fatalmente legati.
Nelle sue opere, dunque, la forma è
sospesa
tra passato e futuro, ordine e disordine,
creazione e distruzione. Il futuro
è racchiuso
nell’attesa della configurazione della
forma,
il passato, invece, nelle sue fascinose
rovine,
nei fossili, nei relitti e negli spettri
che di essa conserva la memoria. Così
egli
dà luogo a una collisione temporale
che,
similmente al processo di fusione nucleare,
è all’origine dell’universo, dei suoi
cicli
e del suo destino. Le macerie, simbolo
di
un mondo in disgregazione, divengono
in tal
modo fondamenta su cui edificare una
nuova
immagine e una nuova realtà.
Il gesto di Daniele Perilli è veicolo
dei
misteri del cosmo, di cui la sua arte
si
fa partecipe, affrancandosi dal ruolo
di
muta testimone o semplice replica,
fedele
o distorta, del mondo in cui viviamo.
Il linguaggio statico della pittura
potrebbe
a prima vista sembrare un mezzo inadeguato
a rappresentare la realtà in tutte
le sue
dinamiche sfaccettature. I dipinti
necessitano
di tempi e modi di fruizione lenti
e contemplativi,
diversi rispetto a quelli frettolosi
e bulimici
a cui il mercato e i circuiti dell’arte
contemporanea
ci hanno, troppo spesso, abituato.
La pittura di Perilli è disarmante
e intima,
come lo è la poesia. Al pari di quest’ultima
nasce nella solitudine e nella sofferenza,
non cerca mirabilia o effetti speciali,
ma
ci pone a tu per tu con il nostro essere
e la transitorietà dell’esistenza.
La sua
opera catalizza lo sguardo rapito e
attonito
dello spettatore, rendendolo parte
consapevole
del mistero della vita e della sua
segreta
sorgente e innalzandolo verso una sfera
universale.
A Marcel Duchamp è stata attribuita
la frase
«stupido come un pittore», ma forse
siamo
noi troppo «stupidi» o distratti per
la pittura,
soltanto il tempo potrà dirlo; del
resto
come scrisse Théophile Gautier «tutto
passa,
solo l’arte robusta è eterna».
Jenny Dogliani
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